La depressione è davvero una situazione spesso difficile da sopportare. Chi l’ha vissuta sa cosa significhi e, quando si cade in questo vortice, si è disposti a tutto purché si possa trovare un po’ di sollievo, di pace. Ma cosa capita quando, per così dire, a essere oggetto degli effetti dei farmaci antidepressivi non è soltanto la persona stessa ma anche “qualcuno” che suo malgrado ne viene coinvolto, come il feto?
Partendo da questa domanda, i ricercatori del Sophia Children Hospital e l’Erasmus Medical Center di Rotterdam, nei Paesi Bassi, hanno deciso di condurre uno studio per cercare di comprendere meglio quali possono essere gli effetti indesiderati dei farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) sul feto e la nascita. Le informazioni relative all’uso di antidepressivi in generale sono piuttosto consistenti, tuttavia per quel che riguarda i SSRI si sa poco.
Motivo per cui si rende necessario proprio ottenere maggiore chiarezza. Il dottor Hanan El Marroun e colleghi hanno così utilizzato i dati relativi a 7.696 donne in gravidanza al fine di valutare l’impatto degli SSRI sulla salute della madre e del feto. I risultati completi dell’indagine sono stati pubblicati sulla versione online dell’Archives of General Psychiatry, tuttavia fin dai primi esiti si è scoperto che questi farmaci sebbene pare riducano i sintomi depressivi nella donna, abbiano un impatto negativo sulla crescita della testa del feto e facciano aumentare il rischio di parto prematuro.
«I sintomi depressivi non trattati sono stati associati a una riduzione della crescita totale del corpo, compresa la testa del feto, durante la gravidanza – scrivono gli autori dello studio – Al contrario, l’uso prenatale di SSRI era sì legato a una crescita ridotta della testa fetale, tuttavia non ha influenzato la crescita del corpo fetale». Delle partecipanti allo studio, 7.027 (ossia il 91,3 percento) non ha sofferto di sintomi depressivi o ne aveva di lievi, mentre 570 (ossia i. 7,4 percento) hanno sofferto di sintomi depressivi clinicamente rilevanti, ma non hanno utilizzato gli SSRI, infine 99 (ossia l’1,3 percento) ha utilizzato i farmaci SSRI.I risultati sono dunque non del tutto esaustivi e, nonostante aggiungano maggiori conoscenze al problema, si rendono necessari ulteriori approfondimenti, sottolineano gli scienziati.
Nello specifico, quello che si è potuto appurare è che l’uso dei farmaci SSRI induce una ridotta crescita della testa fetale e minore circonferenza – più significativa che il non trattamento dei sintomi depressivi, laddove siano presenti. Questa ridotta circonferenza della testa e, di conseguenza, la possibilità che il bambino nasca con una testa piccola rispetto alla media, è stata associata al rischio che il bambino possa avere dei problemi durante la crescita come, per esempio, disturbi psichiatrici e problemi comportamentali. Tuttavia, avvertono i ricercatori, non bisogna dedurre che vi sia necessariamente un’associazione con l’uso dei SSRI. Si rendono necessari ulteriori studi. Fonte:LaStampa.it